Il processo di guarigione

Il nostro cervello è dotato di un sistema di elaborazione delle informazioni capace di portarci a ciò che Shapiro (2013) chiama risoluzione adattiva, ossia una risoluzione capace di tenere in considerazione le informazioni necessarie per consentirci la sopravvivenza.

In genere, il sistema di elaborazione delle informazioni prende un’esperienza disturbante ed elabora le informazioni in maniera adattiva, andando a ripescare e a collegare informazioni utili già immagazzinate nel nostro cervello e lasciando andare ciò che di quell’esperienza disturbante non lo è. In questo modo il ricordo dell’evento viene immagazzinato in una forma adattativa che in futuro potrà aiutarci e guidarci.

Questo processo di elaborazione avviene per lo più durante il sonno REM (Rapid Eye Movement), fase in cui il nostro cervello elabora le informazioni acquisite nell’arco della giornata (l’EMDR, metodo psicoterapeutico strutturato per il trattamento di diverse psicopatologie e per l’elaborazione di eventi traumatici, prevede proprio una stimolazione bilaterale alternata che, anche mediante movimenti oculari guidati, si suppone vada a stimolare un processo simile a quello innescato nella fase di sonno REM).

Purtroppo può però accadere che informazioni legate a esperienze particolarmente traumatiche o stressanti possano sopraffare il sistema innato di elaborazione dell’informazione, bloccato dalle risposte biochimiche (cortisolo, adrenalina etc) elicitate, andando a “congelare” il ricordo che verrà immagazzinato così come è stato vissuto sul momento. Emozioni, pensieri e percezioni sperimentati al momento dell’evento si manterranno inalterati, isolati in una stasi neurobiologica, e il sistema non avrà la possibilità di integrare il ricordo dell’evento nelle reti mnestiche più generali, non consentendone così la connessione a informazioni più utili e adattive.

I ricordi traumatici possono così rimanere fluttuanti, “senza tempo”, e venire percepiti come estranei alla propria esperienza soggettiva. “E’ come se la persona sentisse che le è accaduto qualcosa perché “lo sente così”, ma non è in grado di ricordarlo come un evento percettivo, cioè come un’immagine elaborabile cognitivamente e quindi, su un piano temporale, come parte del passato” ( Bromberg, cit., p. 195, 1998/2001 ). Risultato di ciò: ogni volta che la persona si ritroverà in una situazione attivante il ricordo del trauma (p.e. un luogo dove ha avuto un incidente), sperimenterà le stesse identiche emozioni, cognizioni e sensazioni corporee provate in quell’occasione anche se razionalmente non vi sarebbe motivo di allertarsi.

 

I “segni” del trauma nel corpo

Diversi studi hanno messo in luce come il trauma provochi un’iper-attivazione dell’amigdala, ossia di quella parte del cervello che si occupa di attribuire un significato emotivo agli stimoli che ci circondano valutandone la minacciosità.

I pazienti traumatizzati possono così percepire le esperienze quotidiane in modo distorto a causa del trauma, e sviluppare una maggiore vulnerabilità all’ansia e allo stress: “per la maggior parte di noi, un uomo che incontriamo per strada è semplicemente qualcuno che vuole fare una passeggiata. Una vittima di stupro, invece, può pensare che si tratti di una persona che sta per violentarla e, di conseguenza, entrare in uno stato di panico” (Van der kolk, cit., p. 21, 2014).

Ciò comporta diversi effetti a catena, tra i quali un maggiore rilascio di ormoni dello stress da parte dell’ipotalamo a fini difensivi.

L’eccessiva attivazione dell’amigdala impedisce inoltre il normale funzionamento dell’ippocampo, di volume ridotto in pazienti traumatizzati (Gabbard, 1992), il quale ha la funzione di registrare le nostre esperienze all’interno di una dimensione spazio-temporale, integrandone le impressioni e “archiviandole” in memoria, con il risultato che l’esperienza traumatica rimane frammentata, separata e non integrata nelle altre esperienze.

Gli studi condotti  dimostrano inoltre che nei pazienti traumatizzati, cui è stato chiesto di raccontare l’esperienza traumatica, l’area di Broca, quell’area cerebrale dell’emisfero sinistro che si occupa di tradurre le nostre esperienze in parole, interrompe il suo funzionamento, apparendo, per così dire, “muta”. Questo dato sarebbe indice della difficoltà dei pazienti traumatizzati a tradurre in parole le emozioni connesse al trauma subito, oltre che della loro tendenza a provare emozioni sotto forma di stati fisici non codificati verbalmente (Gabbard, 1992; Van der Kolk, 2014).

 

Alcune considerazioni

Se ci facciamo male, per esempio cadendo e sbucciandoci un ginocchio, le nostre ferite si rimarginano naturalmente. Questo ovviamente accade se non vi sono particolari impedimenti, ma anche qualora ne riscontrassimo, in genere, agiamo allo scopo di rimuoverli e favorire il naturale processo di guarigione.

Anche il nostro cervello è preposto all’autoguarigione. Tuttavia, così come accade per il corpo, può talvolta succedere che qualcosa in questo meccanismo si inceppi, ma, a differenza di quando le ferite sono fisiche, non sempre siamo disposti a intervenire. A seguito di esperienze emotive particolarmente dolorose, quali per esempio importanti lutti, tendiamo a “lasciare andare”. Ma, come abbiamo visto, purtroppo non sempre il tempo guarisce le ferite. Al contrario la scienza ci dimostra che, se non si interviene, emozioni e ricordi non elaborati possono divenire fondamento di problemi psicologici e fisici, risultato dell’attivazione di ricordi immagazzinati ed elaborati in maniera non adeguata.

 

Dott.ssa Giorgia Benzi
Dott. Alberto Mordeglia

 

Bibliografia 

Albasi, C. (2006). Attaccamenti traumatici. I Modelli Operativi Interni Dissociati. Utet. Torino, 2006.

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Bromberg, P. M. (1998). Clinica del trauma e della dissociazione. Standing in the Spaces. Cortina. Milano, 2007.

Freud, S. (1915). Al di là del principio di piacere. OSF, Vol. IX. Boringhieri. Torino, 2006.

Freud, S. (1915/17). Introduzione alla psicoanalisi. OSF, Vol. VIII. Boringhieri. Torino, 2008.

Gabbard, G. O. (1992). Psichiatria psicodinamica. Cortina. Milano, 2007.

Herman, J. L. (1992). Guarire dal trauma. Affrontare le conseguenze della violenza, dall’abuso domestico al terrorismo. Magi. Roma, 2011.

Khan, M. M. R. (1963). Lo spazio privato del Sé. Boringhieri. Torino, 1970.

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Pavan, L. Banon, D. (1996). Trauma, vulnerabilità, crisi. Il trattamento della crisi emozionale. Boringhieri. Torino, 1996.

Shapiro F. (2013). Lasciare il passato nel passato. Tecniche di auto-aiuto nell’EMDR. Astrolabio. Roma, 2013

Van der Hart, O. Nijenhuis, E. R. S. Steele, K. (2006). Fantasmi nel Sé. Trauma e trattamento delle dissociazione strutturale. Cortina. Milano, 2011.

Van der Kolk, B. (2014). Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche. Cortina. Milano, 2015.