“E’ [..] solo all’interno di una relazione significativa che può prodursi quel processo di trasformazione psicologica necessario alla guarigione psichica”
(Aldo Carotenuto)
Tra confusione e pregiudizi
Capita, a volte, che le persone abbiano un’idea confusa del mestiere dello psicologo, a metà strada tra il medico, il filosofo e altre professionalità. Il risultato di questa particolare visione della professione è che spesso veniamo guardati con un po’ di sospetto e diffidenza. Sospetto e diffidenza che si traducono, a volte, nel classico, e stantio, stereotipo “dallo psicologo non ci vado perché non sono matto!”. Una frase che fa più danni di quanti ne risolva dal momento che in gioco c’è il benessere interiore della persona. Ad oggi non ci risulta che se abbiamo un problema ed evitiamo di affrontarlo, questo si risolva da sé svanendo nel nulla.
Ricordiamo brevemente che la professione è regolamentata dalla legge (56/89), prevede un percorso universitario della durata di cinque anni, un tirocinio post-lauream di un anno, l’Esame di Stato, richiede l’iscrizione ad un Albo Professionale e l’obbligo di formazione e di aggiornamento continui.
Anche lo psicologo è una persona!
Intanto, giusto per sgomberare il campo da ogni equivoco, sentiamo il bisogno di chiarire una cosa: noi psicologi siamo persone! Questo significa che anche noi – strano ma vero! – proviamo emozioni, paure, ansie, tensioni e preoccupazioni varie. Essere psicologi non ci evita il confronto con la tavolozza delle emozioni umane! Possiamo dire però che, nel scegliere di dedicarci a questo mestiere, abbiamo deciso di fare “qualcosa” con ciò che proviamo quando abbiamo di fronte un’altra persona.
Chiarita questa importante premessa, passiamo alla prima domanda: chi è lo psicologo?
L’artigiano e la sua bottega
Ci piace pensare che lo psicologo sia un artigiano, un artigiano dell’anima. Credo che questa immagine, al di là dei tecnicismi della professione, renda bene il senso del nostro lavoro.
Perché un artigiano? Perché la parola artigiano richiama l’idea di mestiere, dello sporcarsi le mani, di colui che mette a disposizione la propria esperienza, l’abilità e la – sudata – formazione, per “creare” qualcosa. L’artigiano, come il fabbro o il falegname, lavora con le sue mani, trasforma la materia prima; attraverso la sua opera dà un senso a qualcosa di apparentemente informe. Allo stesso modo lo psicologo impara a lavorare con le sue emozioni e con quelle della persona che ha di fronte, insieme a lei. Questo delicato lavoro di traduzione delle emozioni appare invisibile agli occhi del profano e spesso, ahimè, proprio per la sua natura eterea e poco concreta, difficilmente comprensibile. E’ questa abilità che fa dello psicologo un artigiano. Si tratta della stessa abilità per cui uno scultore estrae una statua dal blocco di pietra, o un falegname realizza un mobile scegliendo con cura il legno su cui lavorare. Nelle nostre botteghe aiutiamo la persona a riflettere su se stessa, a fare ordine e chiarezza su quello che accade dentro di lei. Cerchiamo, quindi, di creare quella consapevolezza necessaria a favorire l’accettazione di sé e, se la persona lo desidera, il cambiamento.
Gli ingredienti di un buon incontro
Mi vengono in mente le parole di Jung quando diceva che è nell’incontro tra due persone che si crea la possibilità di fare conoscenza di sé e di utilizzare questa conoscenza per comprendersi.
L’incontro è una ricetta che richiede due ingredienti per funzionare: il primo è lo psicologo, con la sua esperienza e la sua formazione; il secondo è la persona che chiede aiuto. Quest’ultima porta con sé l’elemento più prezioso: la sua storia di vita e la volontà di voler capire che cosa sta succedendo.
Da questo incontro nasce una relazione che, potremo dire così, diventa il fulcro del lavoro psicologico o, se preferiamo, il terreno su cui seminare.
La personalità e i suoi nodi
A differenza del fabbro o del falegname però, nel nostro mestiere incontriamo una difficoltà in più. Non maneggiamo una materia inerte come il legno o la pietra, ma dobbiamo confrontarci con qualcosa di vivo, mutevole e complesso come la personalità umana. La personalità riassume la nostra storia di vita, l’educazione che abbiamo ricevuto, le nostre caratteristiche temperamentali. Possiamo semplicemente definirla come il modo, creativo e originale, che ognuno di noi ha trovato per potersela cavare nella vita di tutti i giorni. Nella nostra bottega cerchiamo di armonizzare le voci che compongono la personalità, e aiutiamo la persona a dare forma ad esperienze ed emozioni a prima vista sgradevoli, paurose, intraducibili e prive di senso.
Come è possibile tutto questo? Come artigiani quali strumenti abbiamo a disposizione nella nostra cassetta degli attrezzi?
Lo psicologo e la cassetta degli attrezzi
Il primo strumento lo utilizziamo quotidianamente, quasi senza pensarci: è la parola. Attraverso le parole costruiamo, mattone dopo mattone, il nostro mondo interno e la realtà esterna. Il linguaggio ci permette di comunicare, di fare l’esperienza della condivisione, della comprensione e del conforto. Ci tornano in mente le parole di Lacan quando sosteneva che il linguaggio dà forma all’essere umano. Le parole hanno un potere curativo, come può facilmente sperimentare chiunque di noi si senta sostenuto in un momento di difficoltà da una persona a lui cara. Il dialogo quindi, come strumento di aiuto. Questo però, a differenza di quanto accade quando parliamo con persone “non addette ai lavori”, si struttura all’interno di uno spazio – un setting – con caratteristiche ben precise, all’interno di una specifica relazione tra quel paziente e quel terapeuta in cui si mettono in moto profondi processi consci o inconsci.
Il secondo strumento di cui ci serviamo è la relazione. Come psicologi cerchiamo di creare una relazione di fiducia con la persona che chiede aiuto. Impariamo ad accogliere l’esperienza dell’altro, anche se questa è profondamente diversa dalla nostra. Accoglierla significa rispettarla, valorizzarla e non giudicarla. E’ un atto umano.
Il terzo strumento è l’ascolto, non solo delle parole. Ascoltare è essenziale per immergersi nel mondo interno di chi abbiamo di fronte; è il processo che ci permette di aiutare la persona a capire che cosa sta succedendo dentro di sé, traducendo le emozioni in parole.
I principi del nostro lavoro:
Veniamo ora ai principi alla base del nostro mestiere. Il primo è l’unicità, cioè il fatto che ognuno di noi è diverso dagli altri. Ognuno di noi possiede caratteristiche che lo rendono unico ed irripetibile. Come artigiani dobbiamo valorizzare questo aspetto, perché è proprio quel modo soggettivo di vivere l’esperienza che in alcuni casi può incepparsi. Le differenze vanno comprese e valorizzate, sono soluzioni creative che contengono già in se stesse il seme del cambiamento e della creatività.
La comprensione. Le persone sottovalutano il potenziale terapeutico insito in questo processo. Comprendere significa trasformare qualcosa che non ha senso, qualcosa che appare confuso e pauroso in qualcosa che possiede un significato alla luce della propria esperienza interiore. Questo gesto, così faticoso ma così nobile, è alla base dell’esperienza del cambiamento. Comprendere permette di osservarsi da un punto di vista diverso, meno giudicante, meno severo, è un passo importante verso il futuro.
Il tempo. Capire ciò che accade dentro di noi richiede del tempo. Nella nostra bottega mettiamo a disposizione della persona un tempo e uno spazio protetti, in cui rispettare i tempi necessari all’esperienza della comprensione. Le persone che lavorano la terra sanno quanto sia importante rispettare i tempi: esiste un tempo per preparare il terreno, un tempo per la semina e un tempo per il raccolto. Come artigiani aiutiamo la persona a vivere questi tempi, anche se a volte appaiono morti ed infruttuosi. E’ importante sostare in questi momenti di incertezza, dove si vede tutto nero e dove non sembra esserci via d’uscita. E’ il lavoro giornaliero sul campo che permette di irrigare, di togliere le erbacce e di assistere al germogliare dei semi.
Come psicologi abbiamo il dovere di aiutare la persona ad avere fiducia in se stessa e nel cammino di cambiamento che ha intrapreso. Come diceva Jung: tutto ciò che è prezioso richiede tempo e fatica per essere conquistato.
Chiedere aiuto, quando si ha la sensazione di non farcela da soli
Ognuno di noi in momenti particolari della propria vita può sentirsi in difficoltà e aver bisogno di aiuto. Assumersi la responsabilità di quello che accade dentro di noi è una forma di rispetto verso se stessi. Come lo è chiedere aiuto quando si sta male, senza per questo considerarsi o essere considerati dei pazzi.
Dott. Alberto Mordeglia
Dott.ssa Giorgia Benzi