Che cos’è l’ansia e come si manifesta?

L’ansia è uno stato di tensione interna caratterizzato dalla presenza di sensazioni fisiche e psicologiche sgradevoli. Questo stato di allerta, o ipervigilanza, è generalmente causato dalla sensazione di sentirsi minacciati da qualcosa che non si riesce chiaramente a identificare.

Stati ansiosi possono manifestarsi frequentemente o essere circoscritti a situazioni specifiche.

L’ansia agisce modificando rapidamente il clima emotivo della persona provocando angoscia, preoccupazione, agitazione, disagio, timore che possa accadere qualcosa di male. Tutte queste caratteristiche fanno dell’ansia un disturbo fastidioso, vissuto spesso come impedimento allo svolgimento delle normali faccende quotidiane.

Attualmente l’ansia è il comune denominatore di un insieme di quadri clinici identificati in psicologia clinica con il nome di “disturbi d’ansia”.

Tra questi troviamo: il disturbo d’ansia generalizzata, le fobie, l’attacco di panico, il disturbo post-traumatico da stress, il disturbo ossessivo-compulsivo e il disturbo somatoforme (Gabbard, 1997).

 

Situazioni quotidiane

L’ansia può comparire in situazioni quotidiane: fare sport, prendere un treno, affrontare un esame, sostenere un colloquio di lavoro, guidare la macchina, uscire a cena con gli amici, fare un viaggio, guardare la televisione ecc. Sono situazioni che appartengono alla vita di ogni giorno ma che, in alcuni casi, possono assumere una tonalità minacciosa o inquietante. Pensiamo, per esempio, a quanto può essere difficile per una persona che soffre di agorafobia (paura degli spazi aperti) attraversare la piazza della città in cui vive per andare a comperare il pane. Oppure pensiamo al caso di una persona che non vuole andare a cena fuori se nei pressi del locale non è presente un pronto soccorso cui rivolgersi in caso di attacco di panico. Il primo aspetto da sottolineare, dunque, è che la persona che soffre d’ansia vive con disagio la propria quotidianità.

 

L’ansia è camaleontica

L’ansia è camaleontica (Borgna, 1994). Come il camaleonte, infatti, l’ansia possiede un aspetto “mimetico” che la rende difficile da acchiappare. Può comparire in situazioni cliniche molto diverse tra loro, assumendo forme e sintomi vagamente differenti. Pensiamo ad esempio alle differenze cliniche esistenti tra una fobia (una grande paura di qualcosa), un attacco di panico (un attacco d’ansia estremamente violento) o un disturbo post-traumatico da stress (uno stato ansioso conseguente ad un evento traumatico, quale ad esempio un incidente d’auto). In tutti e tre i casi è possibile che la persona sviluppi sintomi ansiosi, simili tra loro, ma riconducibili tuttavia a quadri differenti.

 

Sintomi fisici e sintomi psicologici

L’ansia si esprime attraverso il linguaggio del corpo.

La maggior parte dei sintomi ansiosi, infatti, possiede una solida base somatica: aumento del battito cardiaco (tachicardia), difficoltà respiratorie, tensioni muscolari, capogiri, paura di svenire, tremori agli arti inferiori e superiori, annebbiamento della vista, sudorazione, orripilazione (peli che si drizzano), bisogno di andare in bagno, ecc.

I sintomi fisici sono accompagnati da sensazioni psicologiche sgradevoli: la persona può sviluppare pensieri negativi, infausti, timori (infondati) che possa accaderle qualcosa di male. Spesso questi pensieri agiscono come un circolo vizioso: la persona può interpretare male ciò che sta avvenendo nel proprio corpo provocando un aggravamento dei sintomi. A tutto ciò si può sommare la sensazione, spiacevole e paurosa, di perdere il controllo del proprio corpo o dei propri pensieri, come accade, ad esempio, nell’attacco di panico o nella crisi d’ansia.

 

Il corpo risponde alla minaccia

L’ansia viene innescata dalla percezione di sentirsi minacciati da qualcosa: l’individuo ansioso percepisce un evento, una situazione, un compito o una persona come qualcosa di potenzialmente pericoloso per sé o per la propria incolumità (fisica e/o psichica). La minaccia in questione può essere reale (esiste davvero) o immaginaria (un pensiero), situata nella realtà esterna (un esame universitario) o nel nostro mondo interno (ad es. sentirsi sempre giudicati). L’evento minaccioso innesca delle reazioni fisiologiche, la prima delle quali è l’attivazione del sistema nervoso autonomo. Il sistema nervoso simpatico reagisce allo stimolo provocando un aumento del battito cardiaco e della respirazione, e favorendo un maggiore afflusso di sangue nei muscoli. Dal punto di vista evolutivo questo meccanismo serve al nostro organismo per fronteggiare il pericolo affrontandolo (reazione di lotta), o fuggendo via (reazione di fuga), in ogni caso l’obiettivo è sopravvivere (Bear, Connors, Paradiso, 1996; Sheehan, 1996).

 

L’ansia “normale” e l’ansia “patologica”

In alcuni casi percepire una “giusta” quota d’ansia è inevitabile, e costituisce una risposta fisiologica del nostro corpo. Un po’ di ansia può anche esserci d’aiuto. Pensiamo ad esempio al dover sostenere un esame universitario. In questo caso sentirsi un po’ ansiosi sarà inevitabile dato che dovremo affrontare una prova. Una quota d’ansia “normale” inoltre, permetterà allo studente di rimanere concentrato sul compito, faciliterà il recupero delle informazioni, aumentando le probabilità che superi l’esame. Se in alcuni casi, quindi, sentirsi ansiosi è pressoché normale, in altri, come ad esempio andare in panetteria o attraversare la strada, non lo è. L’ansia diventa un problema, dunque, quando compare in situazioni in cui normalmente non dovrebbe verificarsi.

Riprendiamo l’esempio dello studente alla prese con l’esame. Parleremo di ansia “normale” quando lo studente si sentirà ansioso prima della prova e durante il suo svolgimento, ma poi, a compito ultimato, la sensazione di tensione interna comincerà progressivamente a sfumare e l’organismo, attraverso l’intervento del sistema nervoso parasimpatico, ritornerà in una condizione di quiete. Parliamo di ansia patologica invece quando lo studente, concluso il compito, continuerà a lamentare questo stato di tensione, intensa e disturbante, che si protrarrà anche nei giorni successivi. In questo caso la durata dell’ansia, che si prolunga ben oltre la conclusione dello stimolo che l’ha innescata (l’esame), potrebbe avere una rilevanza clinica da approfondire.

Quando possiamo dire, quindi, che l’ansia è patologica?

 

L’ansia patologica

L’ansia è patologica quando per durata, intensità o frequenza crea un disagio significativo alla persona, oppure quando non è proporzionata allo stimolo che l’ha innescata (ad esempio andare a cena con la fidanzata). In questi casi è possibile che l’ansia interferisca con lo svolgimento delle normali attività quotidiane. Facciamo alcuni esempi. Una persona può sentirsi ansiosa quando è impegnata sul lavoro, mentre si sta dedicando ad un’attività sportiva, mentre sta guidando da sola per andare da qualche parte, oppure quando un famigliare si trova in viaggio. Se l’ansia è molto consistente può innescare dei comportamenti di evitamento: la persona ha talmente paura di stare male o può sentirsi così minacciata da particolari situazioni che cessa di dedicarvisi, smettendo, ad esempio, di recarsi al lavoro o a fare la spesa. Queste dinamiche possono comparire nelle fobie, nell’attacco di panico o nel disturbo post-traumatico. E’ importante quindi che l’ansia venga affrontata per tempo, evitando che si cristallizzi in forme di disagio più significative.

 

Vulnerabilità all’ansia

Perché rispondiamo tutti in modo diverso all’ansia? Ogni persona, in relazione alla propria storia di vita, all’educazione che ha ricevuto, alle proprie caratteristiche temperamentali e di personalità può essere più o meno vulnerabile allo sviluppo di sintomi ansiosi. Attualmente si ritiene che alcune variabili abbiano un peso decisivo nel favorire l’insorgenza dell’ansia. Tra queste ci limitiamo a citare l’educazione ricevuta durante l’infanzia, la presenza di conflitti interni non elaborati o non portati a consapevolezza, l’esistenza di emozioni o motivazioni represse, la concomitanza di malattie fisiche (Gabbard, 1997). Genitori ansiosi, iperprotettivi, possono a lungo andare trasmettere l’idea che il mondo esterno sia un luogo pericoloso, favorendo l’insorgenza di paure irrazionali nei figli. Conflitti interni non elaborati possono innescare crisi ansiose molto intense. Spesso la persona non ha consapevolezza del conflitto che sta vivendo e tende a spostarlo, come accade nelle fobie, su alcune situazioni esterne (persone, oggetti o situazioni), in modo che il conflitto sia più semplice da evitare. In altri casi, come avviene nell’attacco di panico, crisi d’ansia possono essere indotte da emozioni soffocate che sono state represse per molto tempo. La presenza di malattie come diabete, depressione, patologie cardiache o croniche, può essere accompagnata da stati d’ansia legati alle preoccupazioni per le proprie condizioni di salute (Giberti, Rossi, 2009). In alcuni casi l’essere ipercritici verso se stessi, porsi obiettivi eccessivamente elevati, o forme estreme di perfezionismo possono determinare lo sviluppo di stati ansiosi legati al modo caratteristico in cui la persona affronta la propria quotidianità.

 

Lavorarci sopra, con pazienza

Il lavoro psicologico su questo tipo di disturbi consiste nel sostenere la persona e nell’aiutarla a comprendere l’origine del proprio malessere. Spesso alla fonte di queste difficoltà è possibile rintracciare emozioni represse (McWilliams, 2011), parti di sé misconosciute, motivazioni profonde a cui non è data possibilità di esprimersi nella vita di tutti i giorni. Il paziente lavoro di condivisione e di comprensione delle radici del sintomo consente alla persona di liberare emozioni soffocate e di accettare l’esistenza di parti della propria personalità negate o misconosciute. Il lavoro psicologico consente inoltre di modificare l’errata interpretazione delle risposte fisiologiche che spesso determina un peggioramento dei sintomi. La possibilità di attribuire un significato alle crisi d’ansia, di capirne l’origine razionale ed emotiva, aumenta la padronanza che la persona è in grado di esercitare sui sintomi. Con il tempo i sintomi perdono la loro incandescenza, l’intensità dell’angoscia diminuisce e la persona raggiunge un maggior livello di consapevolezza e di benessere personale. Tutto ciò si traduce nella possibilità di vivere più serenamente la propria vita quotidiana.

 

Dott. Alberto Mordeglia

Dott.ssa Giorgia Benzi


Bibliografia

Bear. M. F., Connors. B. W., Paradiso. M. A. (1996). Neuroscienze. Esplorando il cervello. Masson. Vicenza, 2000.

Borgna. E. (1997). Le figure dell’ansia. Feltrinelli. Milano, 2011.

Freud. S. (1925). Inibizione, sintomo e angoscia. In Inibizione, sintomo e angoscia e altri scritti. OSF, Vol. X. Boringhieri. Torino, 2009.

Gabbard. G. O. (1997). Psichiatria psicodinamica. Cortina. Milano, 2007.

Giberti. F., Rossi. R. (2009). Manuale di psichiatria. Piccin. Padova, 2010.

Luborsky. L., Luborsky. E. (2006). La psicoterapia psicoanalitica. Il Mulino. Bologna, 2008.

Mascetti. G., G. (1997). Gli ormoni, i neurotrasmettitori, il sistema immunitario e il comportamento. Domenighini. Padova, 1997).

McWilliams. N. (2011). La diagnosi psicoanalitica. Astrolabio. Roma, 2012.

Pewzner. E. (2000). Introduzione alla psicopatologia dell’adulto. Einaudi. Torino, 2002.

Sheehan. E. (1996). Ansia, fobie e attacchi di panico. Mondadori. Milano, 2011.